martedì 13 febbraio 2024

 

La Nato si prepari ad un decennio di guerra con la Russia


Nel bel mezzo del Festival di Sanremo certe notizie passano in secondo piano, per non dire offuscate, rovinano il clima post natalizio al calar dell’inverno in attesa del Carnevala e della Primavera. C’è sempre un motivo per rimandare i problemi. Come dice Amadeus, per una settimana godiamoci Sanremo senza i problemi del mondo, della politica e le italiche polemiche, poi riprendiamo come nulla fosse successo. Le pause sono molto importanti, dovremmo proporre la stessa cosa a russi e ucraini, così pure a israeliani e palestinesi dei fermi tecnici, un festival per rilassare la mente dalla quotidianità, un modus operandi per stare nel “qui ed ora”, in barba al passato e futuro che non c’è.
In questi giorni di “fermo relax” sappiamo tutto, giornali, media e social non tralasciano nessun dettaglio, il cachet di questo divo di quell’altro, i mal di pancia di tizio e di caio, le parole delle canzoni che hanno irritato o preso plausi, gli ascolti, lo share, le classifiche, addirittura con il Fantasanremo è stato possibile partecipare alla kermesse vincendo nel gioco e nella vita. Mentre noi ci affatichiamo per capire chi vince, chi perde, chi condurrà il prossimo Festival, il Segretario Generale della Nato ha ben altre preoccupazioni e fa il giro delle sette chiese portando il “verbo” urbi et orbi.

Da Berlino nelle pagine del quotidiano tedesco Die Welt. il segretario Jens Stoltenberg ha precisato che la guerra tra Russia e Ucrania è destinata a perdurare almeno per altri dieci anni. In sostanza il suo ragionamento è chiaro, facciamocene una ragione, cerchiamo di capire che il cattivo è Putin, male intenzionato ad occupare tutta l’Europa. Sembra una notizia in esclusiva trafugata grazie all’impegno di agenti 007 della miglior trazione. Spy story dei bei tempi della guerra fredda. Per prepararci all’inevitabile è tempo che ogni Alleato Nato faccia del suo, l’industria bellica deve riprendere i ritmi di produttività a passi veloci pena la soccombenza e la fine del mondo. Un’intervista laconica e diretta, ma con un preciso intento, serrare le file e preparci al peggio.

Non dimentichiamo che da Gennaio è iniziata l’esercitazione Nato Steadfast Defender 2024 che durerà fino alla fine di maggio. Nella colossale operazione di addestramento sono impegnati oltre 90.000 soldati, 50 navi e 80 aerei. Si tratta di una simulazione Nato per una guerra totale contro la Russia in cui viene messo nel conto anche l’utilizzo di armamenti nucleari. La tensione è altissima, l’imprevisto è dietro le porte, basti pensare che nella precedente operazione Nato (Steadfast Noon – Ottobre 2023), la Russia ha deciso di fare contestualmente un’esercitazione altrettanto imponente, grazie alla quale due missili hanno rischiato di combinare l’irreparabile. 

Nel frattempo, il nostrano “movimento dei trattori” si è portato a Sanremo con l’intento di farsi ascoltare e cantare a tutti le proprie ragioni, anche a causa della Guerra in Ucrania le incongruenze sono diventate insostenibili. I vantaggi fiscali e politici concessi all’Ucraina stanno impattando fortemente sulla nostra agricoltura. Non solo la questione energetica, ma l’importazione forzata in Europa di frumento, cereali ed altri prodotti agricoli destabilizza il mercato interno, già colpito dai cambiamenti climatici. 

Mentre Stoltemberg si sbraccia e gira il mondo per convincere gli alleati a spendere di più per armamenti e munizioni, Donald Trump fa il verso contrario, annuncia che se sarà eletto Presidente dell’America si defilerà dalla Nato e dalla Guerra in Ucrania. Questo perché? Perché gli Alleati spendono meno del 2% in Difesa Militare, non può l’America farsi carico della sicurezza del pianeta. In altre parole Stoltemberg e Trump sono due facce della stessa medaglia. 

In conclusione, la Meloni intende portare avanti la sua riforma istituzionale sul “Premierato forte”, secondo una vecchia tesi che vede il nostro paese ingovernabile, occorre più decisionismo e meno impedimenti nelle scelte. Ma è proprio così? In un contesto globale in cui pochi decidono per tutti sui destini dell’umanità, laddove il rischio di una catastrofe nucleare fa parte del gioco e tocca solo essere più aggressivi, al limite colpire per primi, probabilmente di tutto abbiamo bisogno tranne che decisionismo, di giocatori di scacchi, generali e lobbisti delle industrie militari. C’è bisogno di consapevolezza di condivisione dei cittadini, sentirsi parte di una comunità. Semmai si ha l’intenzione di aumentare le spese militari va fatto con un Referendum poichè sarebbero risorse sottratte ad altri servizi con la sanità, la scuola, la giustizia. Stesso discorso per aderire, aiutare o muovere guerra ad altri paesi sono i cittadini che devono scegliere. Fino a prova contraria proprio quelli che ora decidono non andranno in guerra, sono i giovani a pagare le conseguenze, con queste scelte c’è il rischio che rubiamo il loro futuro.

Allo stato attuale la sfiducia verso la politica ed i partiti è altissima, tanto in Italia quanto in Europa, punte del 40% di astensionismo dicono tutto dello stato delle cose.Tra partiti di maggioranza, opposizione e varie sfumature, chi governa non ha mai la maggioranza reale del paese, come si può pensare di avere una delega n bianco per problematiche di così grande importanza?

A meno che, nella mente di qualcuno il popolo si può preoccupare del festival di Sanremo, chi vince, chi perde, gli ospiti e chi condurrà la kermesse del prossimo anno. Ad altri il compito di gestire i destini del mondo.

12 Febbraio 2024

Ferdinando Chinè

mercoledì 31 gennaio 2024



Jannik Sinner lo sportivo con i piedi per terra e il paradiso in una terra vicina

Jannik Sinner vince gli Australia Open, l’Italia esulta e qualcuno rosica. In estrema sintesi lo stato delle cose tra giornali e mass media. L’ultimo trend che risucchia come un buco nero spazzatura e pochezza della vita politica, sociale e morale di un paese, un’Europa alla deriva. Meglio di una soap opera, al pari di una coppa del mondo di calcio, una coppa uefa, una moto gp o una formula uno, le ATP Finals e lo slam di tennis hanno dato a Sinner oneri e onori che si meritava. Tutti si vogliono congratulare con lui per la grande impresa sportiva, incominciando dal Primo Ministro Georgia Meloni, al Presidente della Repubblica, ci manca solo il Papa. Fortune e sfortune della vita sono accidentali la cornice in cui avvengono è quasi sempre contingente. Ecco che riappare la questione dei “paradisi fiscai”, quei paesi che senza tante domande, pochissime tasse accolgono capitali e sedi legali di aziende del peggio e del meglio del panorama mondiale.  

Nella soap opera mediatica Jannik Sinner c’è tutto il trash dei giorni nostri, una mistura di populismo, moralismo, patriottismo, legalismo e chi più ne ha più ne metta. C’è chi accusa Sinner di essere un traditore del bel paese, un opportunista che ha scelto la sede legale e amministrativa a Montecarlo per evadere le tasse, altri che lo giustificano perché è il miglior posto al mondo per allenarsi con fantasmagorici campi da tennis.Per qualcuno addirittura dovremmo ringraziarlo per non aver cambiato la cittadinanza, qualunque paese lo avrebbe accolto a braccia aperte. Altri ancora prendono la pallina al balzo per riaprire una annosa e presunta tassazione esagerata in Italia. Per altri non c’è nulla di nuovo all’orizzonte, sappiamo bene che calciatori, piloti F1 e motogp, gente dello spettacolo, professionisti, aziende di ogni genere e financo umili pensionati d’annata trovano rifugio in quei paradisi fiscali alla facciaccia di ogni regola morale, rispetto della comunità, identità, legalità, si tratta di pura e semplice praticità, c’è una possibilità di usufruire di vantaggi fiscali, perché non approfittarne?

Paradisi o inferni fiscali?

E’ una questione arcinota, si potrebbe fare un lungo elenco di personaggi che sono stati beccati con le mani nel sacco con patrimoni impensabili, sfuggiti ad ogni controllo. Basti pensare al più noto degli scandali globali quello dei “Panama Papers”, coinvolte oltre 214mila società di ogni parte del mondo, imprenditori, capi di stato, uomini politici, mafiosi patentati, amministratori delegati con un bel gruzzoletto nascosto e inaccessibile a qualsivoglia azione legale. A titolo di curiosità nella lista dei furbetti non manca nessuno, dai simboli di sportività e fair play come Platinì e Messi, ai noti oligarchi russi sporchi e cattivi, per passare da eroi nazionali come Zelensky. Vere icone dei tempi moderni che di colpo si scoprono nelle loro nudità meno aulici e più terra terra. Niente di male, è tutto consentito dalla legge.

Non si contano i reati che si potrebbero nascondere dietro ogni singola moneta presente in quei “nascondigli paradisi fiscali”. Unitamente a proventi legittimamente acquisiti, tanti capitali ombreggiano provenienze ambigue. Le cosiddette “società di comodo” coprono di tutto, speculazioni finanziarie, edilizie, dal traffico di armi, droga, prostituzione, sottrazione di risorse pubbliche, corruzione, conflitti di interesse, truffe e chi più ne ha più ne metta. Non è salutare immaginare quante lacrime e sangue passano attraverso quei capitali nascosti e al sicuro. Eppure, “così è se vi pare”. E’ interessante vedere come tante inchieste giornalistiche, come quelle di Report, strada facendo scoprono tanto malaffare ma quando arrivano al punto finale pronti a dimostrare l’intero filone criminale manca un tassello importante, le informazioni bancarie sottochiave nei paradisi fiscali.

Timidi tentativi per risolvere la problematica, figli di proclami roboanti in capo all’OCSE, Europa nochè in Italia, sono stati fatti, con il risultato paradossale che gli unici poveretti toccati da tanto rigore sono le persone fisiche, qualche povero pensionato che dovrà dimostrare l’effettiva presenza fisica in quei paesi per poter usufruire di un briciolo di pensione in più. Si tratta di pochi spicci, magari sommati a tanti poveretti il gruzzolo sale, ma nulla a che vedere con i capitali di società offshore o dei personaggi noti citati. Il Decreto 4 maggio 1999 si è preoccupato della pagliuzza nell’occhio dei pensionati anziché vedere la trave nel posteriore del senso civico, moralità di una intera comunità. In compenso nel Decreto si è detto a chiare lettere quali sono i paesi della “black list” ed ogni anno l’Agenzia delle Entrate aggiorna l’elenco, ma in buona sostanza rimane sempre lo stesso con buona pace di tutti. 

In conclusione, Sinner fa ciò che può, gioca nei fantasmagorici campi di tennis del Principato di Monaco ed allo stesso tempo usufruisce della migliore tassazione del mondo. I moralisti guardano le pagliuzze negli occhi, i patrioti hanno il loro momento di gloria, i giovani sognano di poter seguire le orme di Jannik nello sport elite per antonomasia, televisioni giornali e radio pucciano il biscotto, i pensionati che vivono nei paradisi fiscali sono gli sfigati di questa soap opera, mentre i politici se la ridono e tutti vissero felici e contenti. 

 1 Febbraio 2024

Ferdinando Chinè

 

 

 

venerdì 3 dicembre 2021

FENOMENOLOGIA ed ONTOLOGIA del Sindacato Militare

 Contro le sirene che cantano “rimanda a domani quel che puoi fare oggi”

Siamo in dirittura d’arrivo, prima delle vacanze estive il Parlamento potrebbe approvare la legge sui Sindacati Militari. Nata nel segno di un parlamento improbabile e con un Governo impensabile dopo mille peripezie, con due esecutivi differenti e con l’auspicio di altri obiettivi, giunge al traguardo azzoppata, con tanti buchi e il malcontento degli addetti ai lavori.
A dare il via concreto alla DDL Corda è stata la sentenza della Corte Costituzionale n.120/2018 su ricorso presentato dall’Associazione Solidarietà Diritto e Progresso (Assodipro) nel lontano 2012, prima al Tar, poi al C.d.S ed infine all’alta Corte. Contestualmente è stato proposto ricorso alla CEDU.
A nulla sono servite le audizioni in Commissione Difesa, a parte le desiderate degli Stati Maggiori, i suggerimenti degli altri attori in gioco sono stati considerati come non avessero detto niente. Nota dolente è che tra tanti interlocutori proprio l’Associazione da cui è partito tutto non è stata interpellata alla facciaccia della storia e di chi ha pagato di persona. Poco male, la vita va avanti.
Nel frattempo, in questi due anni grazie all’ex Ministro della Difesa Elisabetta Trenta, in attesa della legge “ad hoc” ha pensato bene di aprire le porte ai Sindacati Militari, ha dato il via libera alla costituzione delle sigle fermo restando alcuni principi stabiliti dal parere del Consiglio di Stato. Nonostante, il pensiero contrario di Stati Maggiori e del Cocer, il Ministro Trenta non poteva fare diversamente, poiché nella sostanza sia la Sentenza della Corte Costituzionale n.449/1999 (anche questa Assodipro), sia quella recente del 2018 fondamentalmente si è convenuto che la vigente Rappresentanza Militare - il Cocer nella sua massima espressione - era stato assodato di essere INADATTA, INCONFERENTE, IMPOSSIBILITATA, INADEMPIENTE, IMPOTENTE a rappresentare democraticamente le istanze del personale. Questa è la sostanza del contendere, non c’è nulla da aggiungere.
Tutti nominano la Sentenza CC 120/2018 è pochi conoscono la genesi, il percorso le Sentenze del Tar e Consiglio di Stato che si sono pronunciate dal 1996 fino ad oggi, il significato ultimo della Corte Costituzionale. Non è mai stata fine a se stessa la contraddizione tra la Carta Costituzionale e la “Legge dei Principi” L.382/78 poi confluita nel COM. Ma, il merito stesso del sistema della Rappresentanza Militare, il divieto costituzionale è accidentale, interpretativo, ermeneutico non sostanziale. La discendente “Legge dei Principi” sulla Rappresentanza avrebbe potuto essere più democratica, rappresentativa, efficace, efficiente di qualsiasi sindacato senza alcuna preoccupazione del contrasto costituzionale. Si potrebbero fare alcuni esempi in cui la legge vivente è più avanti della Costituzione e nessuno si sente in dovere di richiamarsi per tornare indietro.
I punti dolenti della R.M. in contrasto con un organismo civile e democratico
Nel nostro specifico caso, i punti che l’hanno resa inadatta sono arcinoti e vale la pena di ricordarli. La R.M. non è autonoma giuridicamente e amministrativamente, non è democratica il vertice appartiene sempre al più alto in grado, le Categorie non sono rappresentate in modo proporzionale a discapito dei gradi bassi più numerosi, ha un ruolo esclusivamente propositivo, collaborativo, concertativo e non contrattuale, priva della libertà di pensiero comunicativa, tutela gli interessi collettivi e non quelli individuali, non si può costituire parte civile, non esiste alcun meccanismo di sfiducia e resta l’unico attore in gioco per la tutela degli interessi del personale, può essere prorogata per legge nonostante la contrarietà degli elettori. A queste disfunzioni macroscopiche, figlie di un sistema altamente gerarchizzato, solitamente definito “sindacato giallo”, si aggiungono altre sofferenze come le materie limitate, la possibilità di dialogare con altri sindacati, le ripercussioni di carriera (positiva e negativa) sui Delegati, un sacco di cose che hanno sempre imbrigliato l’essenza democratica e civile della RM. Queste sono le incongruenze ontologiche principali su cui si è basata la battaglia in solitaria di Assodipro. Il Sindacato militare sul modello europeo è il punto più alto di arrivo, nella fattispecie di quello tedesco, olandese, svedese. Non è un caso che sin dalla sua costituzione è stata membro a pieni diritti in Euromil l’organizzazione che raccoglie tutti i Sindacati ed Associazioni di militari.
Già nel ricorso al Tar nel ‘96, poi al C.d.S. ed infine alla Corte Costituzionale nel “99 si era detto tutto con estrema puntualità ma con una differente decisione della Corte (n.449/99). Quella Sentenza, nonostante le motivazioni erano pressoché le stesse del 2018, fu di tutt’altro tenore. Ovvero, si riconobbe la vacuità, debolezza, insufficienza della Rappresentanza ma non si ravvisò l’incostituzionalità posta a limite dei militari nella L.382/78. Allo stesso tempo il giudice dette precise indicazioni al legislatore per procedere ad una riforma della RM in senso più civile e democratico. Non una scatola vuota incardinata in una gerarchia e burocrazia amministrativa, priva di qualsivoglia possibilità di influire, ma un organismo in grado di recepire le istanze del personale concretamente. In questi 20 anni e passa, ogni Parlamento, Governo, maggioranza e opposizione del più piccolo partito ha proposto leggi per riformare la Rappresentanza, con il semplice gioco di proporre il massimo quando erano all’opposizione e dare il minimo una volta al Governo. In questo gioco di palleggi il rimando era sembra la soluzione migliore. A dispetto del ruolo parlamentare che dovrebbe essere al disopra dei partiti e del Governo pro tempore. In un mio libercolo di qualche anno fa intitolato “Dietro le quinte”, ebbi a scrivere che non ci sarebbe stata alcuna riforma della RM per una sorta di interessi contrapposti, sovrapposti, confliggenti e complessi. Per gli stati maggiori era impensabile la cessione di piccoli spazi propri a favore del personale, la politica di destra non vuole il sindacato perché chi lo rivendica è di sinistra, la politica di sinistra non vuole il sindacato perché la stragrande maggioranza dei militari è di destra, per i sindacati confederati avere concorrenti al di fuori della loro influenza non piace in alcun modo. A questi attori primari si sono sommate strada facendo studi legali, ditte private che sul malcontento e ingiustizie sui militari ci hanno campato alla grande. Basterebbe andare sul sito di Giustizia Amministrativa per contare le migliaia di ricorsi – singoli e collettivi - per svariati motivi, trasferimenti, note caratteristiche, avanzamento, punizioni, mancate indennità, concorsi e chi più ne ha più ne metta. Un fenomeno tutto militare, cosa nettamente diversa dai poliziotti che hanno il sindacato in luogo della RM, men che mai del restante pubblico impiego.
Un po’ di storia, la Legge 382/78 – Norme di principio e disciplina militare
Sin dall’inizio dei lavori parlamentari e fino all’emanazione della “Legge dei Principi” (L.382/78), la domanda che si andava allargando se valeva la pena approvare una Legge sulla Rappresentanza monca oppure era meglio di niente. Un quesito divisivo tutt’ora presente che non si è mai giunti a conciliazione, era un accordo al ribasso, un giocattolo elusivo, un cappio al collo che mortificava la dignità del militare oppure l’inizio di un nuovo mondo? Bati pensare che fino ad allora qualunque superiore poteva elargire punizioni come il “pane e pesci” senza il minimo rimorso o dubbio di giustezza. Dopo della Legge fu diverso, non tutti potevano punire solo le autorità definite, le punizioni erano differenti, occorreva la contestazione degli addebiti, il processo, il difensore, i testimoni, una Commissione. Piccole grandi cose tutt’ora ingiuste da porre al vaglio della Corte Costituzionale ed Europea, ma cento volte meglio di prima. Si potrebbero scrivere fiumi di parole per una tesi o l’altra, meglio un lento riformismo ad aggancio oppure la rivoluzione tutto e subito?
Il coro dei NO, “tutto tutto, niente niente”
Ebbene, dopo oltre 40 anni siamo allo stesso punto, la proposta di Legge Corda per alcuni andrebbe emanata nonostante le incongruenze, i difetti e limiti che comporta, per altri andrebbe bloccata e lasciate le cose così come stanno, in attesa del Parlamento che verrà. Il Cocer ovviamente è il primo attore che sin da subito ha trovato tutti i difetti, seguono sigle con all’interno dei Soci Fondatori autorevoli Delegati Cocer (in barba alla Circolare del Ministro), in ultimo qualche purista del diritto ingenuo “lavoratore per il Re di Prussia”. Praticamente gli stessi Delegati Cocer che si sono pronunciati per l’ennesima PROROGA di se stessi in attesa della Regolamento Attuativo della Legge, al fine di non lasciare un vuoto rappresentativo. Dimenticando che tutto il nocciolo della questione gira proprio sull’inadeguatezza dello strumento così come è stato concepito in nuce. Dimenticando che quando erano contrari all’apertura della costituzione dei Sindacati voluta dal Ministro Trenta, già allora potevano e dovevano cessare ogni attività. Poiché se è vero come è stato detto nelle sentenza sopra citate che manca di democraticità (il Presidente più alto in grado), di rappresentatività e proporzionalità tra Categorie, non è autonomo gerarchicamente e amministrativamente, difetta di pluralità e via cantando, ogni sua decisione o Delibera è viziata “ab origine”. Non è un caso che i dirigenti delle FF.AA. sono i più privilegiati del Pubblico Impiego, in proporzione sia allo stipendio, sia ai benefit, sia al numero in organico. Ma non solo in Italia, in tutta Europa, per non dire nel mondo. Se prendiamo le FF.AA tedesche possiamo notare che hanno la metà degli ufficiali presenti nel nostro paese, hanno anche meno gradi, meno scatti amministrativi. Questo vizio originario di un sindacato “gerarchico collaborativo giallo” ha prodotto nel tempo enormi discrasie a vantaggio dei ruoli alti. Il recente riordino della dirigenza, voluto, insistito ed approvato dal Cocer, ha portato ottimi emolumenti e pochissime riduzioni di organico per gli ufficiali. Mi stupisce solo come la politica ci abbia messo tanto tempo per capire evidenti contraddizioni foriere di derive ben più preoccupanti.
Questa neo compagine del NO-Legge ed aspettiamo il prossimo giro, mi ricorda bonariamente “Cetto la Qualunque” e il suo famoso adagio “tutto tutto o niente niente”. Guarda caso poco prima della votazione finale, l’ultimo tentativo in extremis di un malato morente. In via maliziosa, ho l’impressione che si tratta di ritornelli costruiti ad arte nelle stanze di palazzo e diffuse con la solita radio naja per procrastinare, rimandare, lasciare le cose come stanno. Affermare che il DDL CORDA si tratta sostanzialmente “..una Rappresentanza a pagamento..” , è evidente che è una chicca strumentale di elevata qualità.
Un principio minimo di realtà
A questi amici mi preme ricordare un “principio minimo di realtà”, la politica ha fatto piccole modifiche su se stessa solo dopo tangentopoli. I magistrati con tutti i difetti e i pericoli di uno strapotere che potrebbero assumere, sono l’ultimo baluardo a cui aggrapparsi per un pizzico di giustizia. Si potrebbero citare migliaia di casi in cui, la politica, le Amministrazioni, i poteri economici, la forza pubblica hanno dovuto fare un passo indietro grazie ai magistrati. La politica arriva dopo, contrariamente alla sua vocazione che dovrebbe anticipare, prevenire, prevedere. La politica che si preoccupa del consenso, di non toccare i piedi ai poteri forti, inevitabilmente è debole, si sbraccia in promesse ma più di tanto non riesce a fare. I 5 Stelle hanno altre preoccupazioni di mancate promesse in ambito militare, ricordiamo NO-F35, NO-MUOS, MO-MIX FUORI AREA. Per non parlare di quelle più famose, NO-Ilva, NO-Tav. Non parliamo del PD che dalla Sentenza della Corte Costituzionale del ‘’99 ha fatto sempre lo stesso giochino, quando era all’opposizione presentava leggi mirabolanti sulla Riforma della RM, quando incidentalmente, abilmente andava al Governo cambiava ogni intento iniziale. E’ arcinoto questo gioco delle parti. Sugli altri non mi pronuncio, Lega, Forza Italia e FDI sono ontologicamente a favore degli Stati Maggiori e contro i diritti dei militari, per loro il paternalismo gerarchico è l’unica condizione possibile in ambito militare. L’unico compiacimento che mi sento di fare a questi ultimi è di avere sempre la stessa posizione, tanto al Governo che all’opposizione, chiusura totale sull’argomento diritti ai militari.
In conclusione
Quando leggo alcune neo sigle sindacali affermare che il DDL Corda “..è addirittura peggiorativo rispetto all’attuale rappresentanza militare”, oppure qualche pseudo giurista esperto in diritto militare “..è una Rappresentanza a pagamento” mi viene la pelle d’oca. Mi prende l’angoscia, tanto lavoro, tanta tenacia, tanti anni passati sotto il sole cocente non sono serviti a niente. Capisco se queste affermazioni le facciano Delegati Cocer/Coir in forfettaria, capisco se studi legali affermati si preoccupino dei loro interessi, così pure siti di informazione o ditte private che ruotano nel mondo del malessere dei militari, ma le neonate sigle sindacali (a parte quelle con delegati cocer) queste proprio non le capisco. Con quali dati oggettivi rigettano il DDL? Perché non si può adire il Giudice del Lavoro? Le materie di competenza devono essere allargate? L’assenso del Ministro va contro l’Articolo 39 della Costituzione? Non sono inseriti i pensionati come per la polizia? Oppure la differenza di prerogative tra carabinieri/finanzieri e forze di polizia che operano con la L.121/81? Certamente queste sono mancanze, incongruenze da porre al vaglio del Giudice. Ma il salto di qualità democratica raggiunto – tra RM e “Sindacati azzoppati”, hanno vagamente, lontanamente, accidentalmente idea della differenza ontologica tra i due sistemi? Hanno curiosamente una nozione della differenza tra essere semplici messaggeri propositivi di istanze esclusivamente collettive e latori di istanze collettive e individuali in chiave contrattuale? Hanno cognizione di causa della difformità esistente tra un Presidente Cocer gerarchico ed un Segretario sindacale (azzoppato) votato dagli iscritti? Potrei continuare con tutti i punti già evidenziati ma sarebbe inutile, chi vuol capire ha capito. Come cita una sentenza al CdS ci è una differenza ontologica tra Sindacato e RM.
Nel titolo ho fatto riferimento ad una fenomenologia e ontologia sindacale, la fenomenologia intesa sia come sviluppo culturale della società, della magistratura e degli addetti ai lavori. Una volta per aver parlato di Sindacato in una riunione fui chiamato a rapporto. Addirittura, tempo dopo la sentenza 449/99 mi fu intimato di non fare più “certi discorsi” perché la Corte aveva chiuso definitivamente l’argomento. A nulla valeva fare riferimenti all’Europa ed Euromil, nel nostro paese la questione era stata decisa diversamente. Gli stessi miei colleghi antisindacalisti per antonomasia, candidati al coir/cocer oggi li ritrovo neo segretari di sigle, ferventi sindacalisti magari con la sola preoccupazione che sia “..una Rappresentanza a pagamento” (!?) o “un cappio al collo”. Poco male, la storia va avanti nonostante si faccia di tutto per eluderla, curvarla a proprio piacimento.
In ultimo, giova ricordare che il cambio di rotta della Corte Costituzionale nel 2018 rispetto al 1999 è dovuto principalmente alle sentenze della CEDU, altrimenti “campa cavallo che l’erba cresce”, si continuava con la solita liturgia, solita chiacchiera di una riforma che verrà. La Carte Europea all’art. 11 garantisce il diritto per i sindacati di darsi proprie norme e di autogovernarsi, compreso il principio del pluralismo sindacale ed ognuno è libero di iscriversi al sindacato oppure no. Basterebbe solo questo principio per preferirlo alla RM.

San Nicola d’Ardore 22 Luglio 2020

Ferdinando Chinè

sabato 11 settembre 2021

Finalmente Atei e Agnostici possono dirsi Credenti

Meno di un mese fa, una Ordinanza della Cassazione ha disposto che il diniego posto dal Comune di Verona all’affissione di un cartello dell’Unione Atei Agnostici Razionali (UAAR) nel 2013 venisse annullato. La sentenza è stata ripresa dalla stragrande maggioranza dei quotidiani nazionali con enfasi e faziosità, si è detto che credenti e non-credenti hanno gli stessi diritti, non è andata esattamente così. Il Giudice ha scritto che anche gli Atei e Agnostici sono credenti, è ben diverso. 

In Breve.

L’UAAR con sede a Roma presentava al Comune di Verona istanza di affissione, tramite il servizio comunale di affissioni pubbliche, di dieci manifesti recanti la parola, a caratteri cubitali, «Dio», con la «D» a stampatello barrata da una crocetta e le successive lettere «io» in corsivo, e sotto la dicitura, a caratteri più piccoli, «10 milioni di italiani vivono bene senza D. E quando sono discriminati, c’è l’UAAR al loro fianco». Il manifesto recava, altresì, in basso a destra, a caratteri ancora più piccoli e ristretti in un piccolo riquadro, il logo e la denominazione dell’associazione. La richiesta veniva respinta dalla Giunta Comunale «risultando il contenuto della comunicazione potenzialmente tale da urtare la sensibilità del sentimento religioso in generale». Da qui il ricorso al Tribunale di Roma, che confermava la decisione del Consiglio Comunale, anche la Corte d’Appello interpellata in successiva istanza ripeteva lo stesso giudizio. La Cassazione viceversa in ultima analisi ha ribaltato la sentenza dei tribunali precedenti affermando “…che anche il credo ateo o agnostico possa trovare fondamento nella disposizione dell’art. 19 Cost. (Corte Cost.,sent. n. 58 del 1960)”.

La battaglia di atei e agnostici

Fino ad oggi l’Unione Atei e Agnostici Razionalisti si è battuta con unghie e denti tra le persone comuni assumendo di possedere una verità razionale[1]. Nel nome stesso dell’Associazione c’è l’arroganza di essere Razionalisti, un rafforzativo che li distingue da qualunque altra associazione. Un’aggettivazione che attrae, riporta all’epoca dei lumi, all’uscita dell’uomo dallo stato di minorità a causa dell’incapacità di valersi del proprio intelletto. In realtà, i motivi della negazione di Dio partono da più lontano e non abbisognano di confutazioni scientifiche, di lumi o candele. Il Tetralemma di Epicuro[2] già nel IV secolo A.C. ha posto le basi delle contraddizioni divine, pressoché le stesse fino ai giorni nostri, con l’aggiunta di qualche piccola sfumatura come la “teira di Russel”[3], o le recenti parole di Paolo Veronesi nel suo libro “il mestiere di uomo”: “Dopo Auschwitz, il cancro è un’altra prova che Dio non esiste”. Forse la risposta più bella è stata proprio quella di un altro scienziato Antonino Zichicchi[4] “…il cancro è solo questione di cellule, mentre è l’universo la prova dell’esistenza di Dio…”. Nel suo libro “Perché io credo in colui che ha fatto il mondo” toglie ogni dubbio sul fatto che scienza e fede non sono in opposizione. Razionalità e credenze sono facce di una stessa medaglia. Un conto è confrontarsi tra “credenze” un altro è in ambito scientifico, altro ancora tra scienza e fede. 

Senza scomodare quanto hanno già detto teologi, filosofi e scienziati[5], non è una questione numerica o di nomi, quanti e quali sono gli scienziati credenti e quanti non. Non servirebbe neppure fare tabelle e grafici per capire l’incidenza tra il tasso di scolarizzazione dei credenti e non. Neanche trovare il rapporto tra quanti sono i criminali e quante sono le opere di bene tra atei e devoti. Tutte le statistiche del mondo non aggiungerebbero nulla a quanto già sappiamo, possiamo fare nostro questo o un altro discorso solo se lo sentiamo in accordo con il nostro modo di sentire le cose della vita. 

La razionalità questa sconosciuta

Non c’è una razionalità comune scritta sulla pietra. Lo scienziato, il perito, il tecnico non dice l’ultima parola e quella diventa una verità condivisa fino a prova contraria. Almeno, non è quanto constatiamo giorno per giorno, altrimenti non si spiegherebbero milioni di fumatori, milioni di persone che pur conoscendo i mali derivanti dalle sigarette scelgono volutamente di fumare a dispetto della salute per se stessi e chi sta loro vicino, dei costi individuali e per la comunità. Stesso discorso per chi fa uso di droghe, non basta il bombardamento mediatico dei danni derivanti, tanto meno la paura delle forze dell’ordine, o di perdere il posto di lavoro, di finire in galera, non si tratta neanche di un uso ad opera di persone poco acculturati, o di individui ai margini della società, spesso cocaina e pillole sono le preferite di liberi professionisti e della classe abbiente. Si può continuare all’infinito con esempi simili, pur conoscendo un “bene razionale” l’uomo si lascia andare al suo opposto, con il gioco d’azzardo, l’uso di alcolici, sesso, alimentazione, come se la capacità di discernimento si perdesse completamente, salvo in extremis a volte recuperarla. Se sul piano teorico la stragrande maggioranza potrebbe trovarsi d’accordo nell’affermare irrazionali le attività sopra citate, altre e tante scelte di vita potrebbero apparire insensate solo agli occhi di alcuni. Ad esempio, l’eremita, il missionario o il volontario, chi glielo fa fare di rinunciare alla vita di tutti i giorni, isolarsi, o dedicarsi agli altri, in nome di che? Stesso discorso ma in direzione opposta chi rinuncia a tutto per una carriera militare, politica, di potere, economica, artistica, di successo? Vale la pena sacrificarsi, combattere ogni giorno, ogni minuto e con ogni mezzo per affermare se stessi, magari a discapito degli altri? Ci sono dei limiti alla corsa della nostra affermazione oppure la “volontà di potenza” non deve essere confinata? Così pure chi rinuncia a mangiare la carne per una convinzione morale, vale la pena? Sulla mancanza di una oggettiva razionalità individuale e ancor più collettiva dell’essere umano si potrebbero leggere fiumi di libri, alla fine dei quali probabilmente non troveremmo le risposte univoche per tutti, semmai personali che concordano e risuonano in noi, ci trasportano verso un mondo che sentiamo nostro. I libri, le persone che incontriamo, gli accadimenti quotidiani non ci cambiano, ma esaltano, mandano in risonanza, in relazione con la parte più intima e profonda di noi. Dove, come e quando si va in contrasto con la razionalità? Colpa dei poteri forti, del Bilderberg, nuovo ordine mondiale, delle chiese di tutto il mondo? Nel “mondo delle scelte” ci sono altre regole, altra gravità, altri rapporti tra gli elementi. Cosa significa essere razionali, rispetto a cosa? Alle opzioni di scelta per un maggior vantaggio? Alle regole sociali che ci siamo dati? Alle scoperte della scienza? O razionali semplicemente rispetto a ciò in cui crediamo e perseguiamo? Fino a prova contraria, i limiti delle credenze sono quelle imposte dalla legge, ma, valgono solo questi recinti oppure ve ne sono altri non scritti, morali, interiori che ci diamo autonomamente a prescindere dalla scienza, dall’utile e dal compromesso? Più che di razionalismo forse si dovrebbe parlare di “metodo tecnico”, da distinguersi dalla capacità di discernimento, di fare la scelta giusta date le condizioni di premessa e di contesto. Il giusto non è solo l’utile, il calcolabile solo per noi e chi ci sta vicino. Il giusto non è solo pragmatico, pratico, non segue le mode, non accontenta tutti e spesso non si comprende subito, ha un tempo suo più dilatato. Non basta neanche essere eruditi per non farsi prendere da passioni e desideri. Il giusto nel mondo morale individuale trova rimbombo con la nostra credenza, spiritualità, con quelle voci che sentiamo dentro di noi quando stiamo per prendere un decisione.

Furio il più simpatico dei razionalisti

Nel film “Bianco rosso e verdone” l’autore ci presenta tre protagonisti intenti a intraprendere un viaggio per raggiungere i rispettivi seggi elettorali. I personaggi interpretati tutti da Carlo Verdone: sono uno spaccato di difetti e pregi di umanità differenti. Mimmo, un giovane ingenuo e goffo ma allo stesso tempo premuroso con sua nonna e Pasquale, un emigrato del Sud Italia residente a Monaco di Baviera, che in Italia trova una accoglienza tutt’altro che calorosa. E poi c’è Furio, un funzionario statale estremamente razionale, morbosamente pignolo. Da allora quando pensiamo ad un personaggio precisino, antipatico attento a prendere la decisione giusta, la mente ci porta a lui. A quanti piacerebbe averlo come amico, cognato o parente, il discorso cambia. 

Credenze e confutazioni

A quante cose crediamo, le diamo per scontate e magari non c’è alcun nesso con la realtà. Crediamo che i nostri genitori siano quelli che da sempre chiamiamo mamma e papà, salvo poi leggere le statistiche che almeno un 30% di noi potrebbe non essere discendente naturale di chi pensa. Quanti di noi si angosciano per fare il test del DNA per scoprire la verità? Una volta scoperto farebbe la differenza verso un padre, una sorella, una nonna che abbiamo condiviso una vita intera? Tranne per questioni di rivalse ereditarie, per la stragrande maggioranza delle persone il problema non si dà. La confutazione scientifica biologica non sposterebbe di un millimetro il bene o l’odio verso quel genitore/nonno colto in “flagranza di reato”. Stesso discorso per i tradimenti nelle coppie sposate o conviventi, le statistiche rimandano a poco meno del 60% di relazioni extraconiugali, quanti si preoccupano di mettere alle calcagna del consorte un investigatore per verificare se rientrano o meno in quella casistica? E quanti, una volta scoperto perdonano, cercano una soluzione che non sia vendicativa, legale? Soprattutto, per coloro che il test del DNA sarebbe necessario per avere la confutazione massima di non essere in errore, in che rapporto si metterebbero con la restante società? Magari, prima di mangiare una scatoletta di tonno la farebbero analizzare dallo stesso laboratorio per avere la conferma che la data di scadenza scritta sul barattolo coincida con il deterioramento organico, si toglierebbero il dubbio che non sia già scaduta e non sia contaminata da sostanze pericolose? Per quale motivo dovrebbero aver fiducia in chi l’ha confezionata, trattata, datata, distribuita sul territorio? 

La condizione esistenziale dell’uomo

Tutta la società vive sulla fiducia, sulla credenza, nella speranza che ognuno faccia il proprio lavoro, che la comunità in cui viviamo sia quella più accettabile per la nostra convivenza. E’ la condizione esistenziale dell’uomo quella di credere, di affidarsi agli altri, di prendere per buono inizialmente quanto ci viene ripetuto. Sin da piccoli dobbiamo fare un atto di fede, quando la mamma ci dice questo è tuo papà e tua sorella, è giusto andare a scuola, è bene studiare, è bene fare attività sportiva, è bene ascoltare la maestra, stare attenti in classe, non è bene picchiare i compagni, rubare le merendine e stare attenti a non farsele rubare, non farsi giustizia da se ma andare dalla maestra, poi più avanti si dirà di non fumare, non bere alcolici, non prendere droghe, non andare veloce in macchina, mettiti il preservativo e così via. Salvo crescendo poi fare nostre o ripudiare quelle parole, quelle credenze che ci sono state tramandate nei secoli dei secoli. Quelle parole materne ci sono scivolate o attaccate nelle carne, volenti o nolenti. E perché mai in mezzo a tante credenze, quella che esiste Dio dovrebbe essere la più mortale, da scacciare immediatamente, senza passare al vaglio dell’esperienza della vita di ogni essere umano. Non vale la pena confutare quanto volatili siano le certezze scientifiche, tanto più che dovremmo ringraziare volta, volta dei successi raggiunti dalla scienza. Si possono fare mille esempi in cui la fiducia sul metodo scientifico, sul già detto, già controllato, già verificato non basta, non esaurisce le paure o le certezze che tutto sia così come dovrebbe essere. Abbiamo un riscontro quotidiano di medicinali, tecniche terapeutiche che si sono scoperti fallaci se non addirittura nocivi, dopo tanti anni di utilizzo. Eppure era stata la scienza a darci evidenza della bontà di quei frutti basati sul metodo razionale. Per esperienza basata sulla confutazione, dovremmo controllare ogni farmaco prescritto dal medico nel famoso laboratorio per avere l’ultima certezza? Anche interpellando il miglior laboratorio del mondo, ci accorgeremmo che abbiamo solo spostato la fiducia un pochino più avanti, ci dovremmo affidare ai risultati di quel luminari, a meno che non diventiamo noi stessi scienziati. Non solo nella medicina, pensiamo a tutti quei materiali utilizzati per la costruzione di case, navi, magazzini come l’amianto, in primis dato per la soluzione ottimale a tutti i problemi e poi si è scoperto che è stato il problema dei problemi. Vogliamo parlare dell’informazione, di quelle monumentali balle create ad arte per scatenare una guerra, un’azione di rivalsa, una strage. Non dobbiamo fare nostra alcuna notizia giornalistica fin quando non siamo noi stessi la fonte di quella informazione? 

Domande e risposte

Spesso quando mancano le risposte non sempre dipende dal fatto che non ci sono o non sappiamo trovarle. Può semplicemente voler dire che le domande sono sbagliate o non attualizzate. L’uomo “crea un concetto” – ad esempio Dio – che esprime con una parola, poi per millenni si chiede cosa rappresenti quel concetto dimenticando che è una sua creazione. Dimenticando il perché ha generato quel concetto, era un bisogno, una verità o una strumentalizzazione? Ecco perché per alcuni potrebbe non aver alcun senso chiedersi: qual è l’origine dell’universo? Chi ha creato l’universo? Qual è la causa causarum? Esiste un unico fattore o più determinazioni? Come è possibile che non ci sia una origine o una fine? E dopo la fine? L’esistenza ha un senso? Sono domande e risposte che oggi appaiono insensate, contraddittorie, aporetiche, apodittiche. Probabilmente dipendono esclusivamente dalla nostra soggettività ed esperienza. Il fatto di porsi una domanda anziché un’altra, o dare una risposta in un modo invece che il suo contrario, dipende da noi. Non c’è scienziato, psicologo, politologo, sociologo, giurista, teologo, poeta o artista che può rispondere a nome nostro. Ognuno di questi luminari ci può aiutare, noi possiamo sentire un afflato, credere in qualcosa piuttosto che niente, possiamo continuare a studiare per tutta la vita senza giungere a conclusione. Domande e risposte esistenziali sono facce della stessa moneta. A volte si danno a volte no, a volte rispondiamo bene altre volte sbagliamo, alcune volte è errata la domanda altre volte la risposta.

La Sentenza della Cassazione

Torniamo ai giorni nostri, ai tempi del coronavirus e al Giudice della Cassazione che finalmente ha accolto il ricorso dell’UAAR. E’ curioso vedere che sia la struttura del ricorso sia la decisione del Giudice non fa alcun cenno al razionalismo del pensiero che si intende difendere. No, niente di tutto ciò. Scrive l’Associazione “..si duole la ricorrente del fatto che la Corte d’appello abbia escluso la sussistenza della violazione del principio di libera espressione della propria libertà religiosa, nella forma negativa della mancanza di un credo religioso, dunque, che il diritto degli atei ed agnostici di professare un credo che si traduce nel rifiuto di una qualsiasi confessione religiosa (credo religioso «negativo»). Bene, finalmente siamo tutti d’accordo stiamo parlando del diritto di confessare un “credo religioso negativo”, non c’è alcuna pretesa di dimostrazione logica scientifica, ma unicamente la richiesta di libertà di espressione di un “credo” valido tanto quanto gli altri. Ci mancherebbe. Siamo tutti contenti che finalmente si è sciolto il dubbio, l’ateismo non è una posizione razionale ma un credo paritetico agli altri. Stop.

Per capire l’importanza di questo passaggio dovremmo provare a tonare indietro nel tempo, immaginare Galileo Galilei, anziché abiurare per le sue scoperte frutto “di sensate esperienze e necessarie dimostrazioni” avesse invocato la libertà di espressione, di dire la sua senza pretesa di confutazione, o richiesto l’infermità mentale. Ma, non era in gioco la libertà di espressione, ma la presunta “verità del mondo” in quel tempo. Vi era una sostanziale battaglia di “Verità” tra quella fisiologica, cosmologica di Galileo e quella teologica esistenziale della Chiesa. Due “Verità” che erano in contrasto ed oggi per molti aspetti è un discorso superato. Molto più dignitoso e sensato per Galilei fu di abiurare, fare un passo indietro totale in cui tutto era frutto di un abbaglio, comprese “le sensate esperienze e necessarie dimostrazioni”. D’altra parte, Galileo lo sapeva che non occorreva il martirio, mantenere un vessillo in nome della scienza, le sue “esperienze e dimostrazioni” prima o poi sarebbero state note a tutti. La Sua era una verità, era la Terra a girare intorno al Sole e non viceversa. Non era in gioco la libertà di espressione, ma la libertà di fare scienza ed il suo metodo avrebbe fatto scuola nei secoli a venire. Il suo passo indietro personale era per farne fare cento avanti alla scienza.

Tutto il discorso UAAR in questi sette anni di tribunali ed interventi dei vari giudici si è ridotto alla richiesta di professare un “credo ateo agnostico”, senza pretesa di possedere razionalità o verità scientifica. La struttura del ricorso si è basata sulla richiesta di libertà di espressione, di pensiero e di credo”. Si è invocato il «principio supremo di laicità», che caratterizza in senso pluralistico la forma dello Stato, un credo in forma di religione negativa, ma pur sempre un credo che grida dignità al pari di ogni religione positiva. I riferimenti alla costituzione italiana e quella europea sono stati lo sfondo (artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost. e dell’art. 1 del Protocollo addizionale al Concordato tra Stato e Chiesa del 1984). 

Il Giudice della Cassazione

Il Giudice conosce bene il suo lavoro, ogni giorno tocca con mano i casi della vita, a fronte di un colpevole c’è sempre un perito tecnico che porta prove contro di lui ed un altro di parte a sua discolpa. Chissà in quante cause ha visto un medico sostenere che il datore di lavoro ha fatto quanto dovuto e che non esistevano relazioni tra l’attività del dipendente e le malattie derivanti. Viceversa, il medico di parte del ricorrente ha portato prove dei nessi causali a favore del ricorrente. Questo succede in ambito medico, non parliamo se cade un ponte o una scuola ci sono ingegneri, geometri, architetti pronti con delle relazioni ed altri a prospettare un’altra visione. Nella controversa questione della TAV, laddove a battersi per una ragione del sì e del no sono professori universitari del politecnico con tanto di relazioni, calcoli, prove di “sensate esperienze e necessarie dimostrazioni”, povero Giudice che si trova a decidere, come farà? Ahinoi, in questa triste triangolazione tra “periti”, ricorrente e Giudice non mancano giudizi diversi a seconda della bravura, imperizia e umanità degli attori in gioco. Prova di questa morale interiore e autonoma, a prescindere dalla legge, è il fatto che su tre Giudici interpellati dall’Uaar solo uno ha dato loro ragione. Il giudizio che ha ribaltato i precedenti parte «dal riconoscimento del diritto di libertà di coscienza anche agli atei o agnostici, discende il diritto di questi ultimi di farne propaganda del proprio credo”.

Il Cartello galeotto oggetto della Sentenza

Nel merito del cartello, la scritta “ben dieci milioni di italiani (atei e agnostici razionalisti) vivono bene senza D”, che significa? Che tra di loro nell’immensa razionalità non ci sono fumatori, bevitori, giocatori compulsivi, cocainomani e via dicendo? Oppure che hanno un buon reddito, vivono più a lungo, seguono le leggi dello stato, sono esenti da malattie, conoscono a menadito il pensiero dei positivisti, non uccidono, non compiono atti impuri, non desiderano la donna d’altri, amano il prossimo loro come se stessi, tutto ciò senza bisogno di pregare e di credere in qualcosa. Bene, siamo contenti per il loro “vivere bene” in qualunque modo lo intendano. Posto così l’argomento dice “tutto tutto e niente niente”. Il problema non è cosa pensano loro di se stessi o cosa vogliono comunicare agli altri, ma cosa pensano gli altri di loro. Nessun uomo si pensi un’isola felice, capace di autonomia da poter fare a meno degli altri. Ho la strana convinzione, che ci sia più tolleranza, comprensione dei credenti nei confronti di atei e agnostici di quanta ve ne sia da parte loro verso i credenti. Basta girare tra i gruppi social, è notare che si tratta di un continuo sbeffeggiamento dei cattolici, ebrei, protestanti, mussulmani. Un continuo scriteriato sguardo dall’alto verso il basso, da chi ha il lume e la ragione a chi ha gli occhi chiusi e il cervello all’ammasso. Dalle vignette alle barzellette, paradossi, meme e freddure, fanno da sfondo ad un retro pensiero di superiorità, spesso il dileggio è rivolto ai capi spirituali, preti e cardinali, Papa, quando non diventano blasfeme. Non è un caso che il Giudice ha voluto precisare nella sentenza che la libertà del “..credo ateo agnostico purchè non si traduca, come di qui a poco si dirà, in forme di aggressione o di vilipendio della fede da altri professata ”. 

In conclusione

William James scienziato e psicologo uno dei padri del pragmatismo americano tra fine ‘800 e inizi ‘900, nel libro “la volontà di credere”, si chiede cosa ispira il voler credere? E’ indubbio, ci sono degli argomenti di fronte ai quali l’atteggiamento scientifico è giusto, se mi chiedo come è fatta una cellula dovrò andare in laboratorio, fare delle ipotesi, tenere conto dei risultati, usare un procedimento replicabile dimostrabile ovunque, non importa a cosa credi (Cristo, Budda, Nulla) le cose stanno così, la caduta dei massi avviene ad un’accelerazione di 9,8 m/s, l’acqua bolle sempre a 100 gradi a Parigi come a New York o Pechino, sono verità della scienza. Ma ci sono problemi della vita in cui la scienza non c’entra nulla, le grandi scelte morali, le cose importanti della vita, è bene fare questo o quello? Farò un figlio o non lo farò? Accetterò quel compromesso per la mia carriera o sarò integerrimo? Mi sposerò o continuerò a fare lo scapolone? Denuncerò all’autorità quei criminali mafiosi di cui sono stato involontario osservatore, oppure mi farò i fatti miei per evitare rogne alla famiglia? Di fronte a questi temi esistenziali la scienza, la razionalità, la legge non aggiunge nulla, non ci fa scegliere la cosa giusta, non ci esime da amarezze morali, non ci affranca dal rimuginare notturno “nell’ultima solitudo”. Le cose che contano devono essere scelte dalla “volontà di credere”, che non è semplicemente calcolo, razionalità, convenienza, ma l’insieme di desiderio, passione, speranza e buon senso. Non è che scegliamo la moglie semplicemente perché è bella, è ricca, o perché nel suo DNA non ci sono prospettive di malattie degenerative. Ma sono opzioni che facciamo solo sulla base di una fede, di una volontà di credere aldilà della scienza. La volontà di credere non nasce da una riflessione che tiene conto dei più e dei meno, mi conviene, dal pensiero calcolante, è la nostra natura passionale, il desiderio si muove molto prima della ragione, ci conduce verso strade pericolose, in controtendenza. E’ questa passione che deve essere rivendicata volontà di credere per una scelta su ciò che riteniamo salvifico, positivamente buono. 

Un mondo già fatto ed uno da fare

Attenzione, non è che c’è il mondo da un a parte con le sue leggi fisiche – con il compito della scienza di dirci come è fatto e naturalmente possono sbagliare – e poi dentro questo mondo ci siamo noi essere desiderosi e passionali, che hanno necessità di scegliere e possono sbagliare rispetto al mondo com’è. Non è che il mondo fisico e quello dei desideri sono uno dentro/esterno all’altro. Ma se il mondo così com’è non esistesse? Certo l’acqua bolle a 100 gradi, ma nelle grandi questioni morali non è già fatto, non ha già leggi scritte, ma lo dobbiamo fare noi. Nel mondo delle verità morali, la volontà di credere produce effetti, ha il potere di fare accadere le cose, la fede muove le montagne. Nel mondo delle verità morali la volontà di credere non dipende dalle ragioni di cuore, dalla natura passionale e volitiva, ma è parte integrante della comunità sociale, si identifica nel singolo uomo che è già parte sociale. Se voglio credere che il “non-credere” sia un bene, lo devo prendere con fede e adoperarmi come in fervido credente, è un’altra fede ma non c’entra nulla con la ragione e il razionalismo. La guerra che portano avanti atei e agnostici con estrema crudezza per propagandare il loro credo, ha lo stesso sfondo di qualsivoglia religione, in ultima analisi sono convinti che un ateo in più sarà è un bene per tutti.

Il Mistero

Nella Lettera aperta di Norberto Bobbio, pubblicata sui giornali il giorno dopo la sua morte come da sue ultime volontà, ribadisce di non essere credente e di volere una sepoltura civile, ammette che la vita è piena di mistero a cui l’uomo non riesce a pervenire. Il “Mistero” non è un enigma, una sfida intellettuale a cui prima o poi la mente giunge alla soluzione. Il mistero è lo sguardo verso l’infinito, quella domanda che non trova risposta, quella risposta che non ci convince, quell’amore non corrisposto, quella credenza a nostra immagine e somiglianza. Dopo la sentenza anche gli Atei e Agnostici possono dirsi CREDENTI, magari nel nulla/caos, ma pur sempre credenti. Il vero problema non è la negazione di Dio, poiché per gli atei che si struggono di dimostrarlo, vi è una tensione, fatica, un volontà di convertire gli altri a qualcosa che ritengono più buono, più vero, più giusto. Hanno tutta la simpatia e stima per questa posizione, credenza nel nulla/caos, non certo nelle scienza visto che ci sono scienziati e premi Nobel credenti. La brutalità di questo ultimo secolo non è la negazione, è il nichilismo, l’indifferenza, la convinzione che non si debba parlare più di Dio, non serve a nulla, né in termini positivi e ugualmente negativi. E’ un discorso superato, aria fritta.

La filosofia pagana non credeva nel risorto, come Epicuro non credeva negli dei, però aveva la sua fede. Ancora oggi risuonano nell’aria e nel cuore le parole di Socrate dal carcere di Atene, prendetevi cura della vostra anima.

Ferdinando Chinè

1 Maggio 2020

 

[1] Razionale (Treccani) agg. [dal lat. rationalis, der. di ratio -onis «ragione»]. – 1. a. Che è fornito, che è dotato di ragione: anima, creatura r.; molti [animali], quasi come razionali … la notte alle lor case senza alcuno correggimento di pastore si tornavano (Boccaccio). Nella filosofia platonica, anima r. (o parte r. dell’anima, gr. τὸ νοητικόν), la facoltà dell’anima che è principio dell’attività conoscitiva ed è moderatrice delle altre due facoltà, l’irascibile e la concupiscibile. b. Che procede dalla ragione, che è conforme alla ragione: principî r.; fondato sul ragionamento, condotto secondo il rigore logico, di metodo e scientifico, che è proprio della ragione: procedimento, criterio r., nel condurre ricerche di qualsiasi specie, nell’educare, ecc.; cura r. di una malattia, fondata su basi scientifiche, non empirica; alimentazione r.; 

[2] Tetralemma di Epicuro (342-270 a.C.) «La divinità o vuol togliere i mali e non può, oppure può e non vuole o anche non vuole né può o infine vuole e può. Se vuole e non può, è impotente; se può e non vuole, è invidiosa; se non vuole e non può, è invidiosa e impotente; se vuole e può, donde viene l’esistenza dei mali e perché non li toglie?» Il testo ci consegna tre possibili figure di Dio: un Dio debole, un Dio malvagio, un Dio misterioso. La lucidità intellettuale di Epicuro ha definito egregiamente il problema, e da allora lo status quaestionis è rimasto immutato, come dimostra Hans Jonas nel saggio Il concetto di Dio dopo Auschwitz, dove si riprendono le caratteristiche divine fondamentali esattamente nei termini di onnipotenza, bontà, comprensibilità”.

[3] La metafora del filosofo Russel della “teira celeste” in estrema sintesi, “..Se io sostenessi che tra la Terra e Marte c’è una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole su un’orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi, purché mi assicuri di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rivelata, sia pure dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che – posto che la mia asserzione non può essere confutata – dubitarne sarebbe un’intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe con tutta ragione che sto dicendo fesserie. Se, invece, l’esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità ed instillata nelle menti dei bambini a scuola, l’esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all’attenzione dello psichiatra in un’età illuminata o dell’Inquisitore in un tempo antecedente. »

[4] Antonino Zichichi scienziato, fisico, matematico, invece parte dalla considerazione che il cancro è solo questione di cellule, mentre è l’universo la prova dell’esistenza di Dio. […] La scienza ci dice che non è possibile derivare dal caos la logica che regge il mondo, dall’universo sub-nucleare all’universo fatto con stelle e galassie. Se c’è una logica deve esserci un Autore.[…] L’ateismo, partendo dall’esistenza di tutti i drammi che affliggono l’umanità, sostiene che se Dio esistesse queste tragedie non potrebbero esistere. […] Negare l’esistenza di Dio però equivale a dire che non esiste l’autore della logica rigorosa che regge il mondo. Tutto dovrebbe esaurirsi nella sfera dell’immanente la cui più grande conquista è la scienza. La scienza però non ha mai scoperto nulla che sia in contrasto con l’esistenza di Dio. L’ateismo, quindi, non è un atto di rigore logico teorico, ma un atto di fede nel nulla. Se la nostra esistenza si esaurisse nell’immanente, il discorso sarebbe chiuso qui (e Veronesi avrebbe ragione, NdR). Immanente vuol dire tutto ciò che i nostri cinque sensi riescono a percepire. Questi nostri cinque sensi sono il risultato dell’evoluzione biologica. C’è però un’altra forma di evoluzione che batte quella biologica: l’evoluzione culturale. Ora intanto è ovvio che da un punto di vista logico l’affermazione di Veronesi va corretta. Dall’esistenza del male, infatti, si potrebbe inferire non già la non esistenza di Dio, bensì soltanto che Dio non è “quell’amore onnipotente di cui parla il cristianesimo”. Dio o gli dei potrebbero essere indifferenti alle vicende umane.

[5] Agostino d’Ippona, Anselmo d’Aosta, Tommaso d’Aquino, Severino Boezio, René Descartes, Pascal, Melabranche, Liebinz, Bonoffeur. Ad esempio, l’argomentazione di Boezio (Consolazione della filosofia) ribalta la domanda: Se c’è Dio, da dove vengono i mali? E da dove vengono i beni, se Dio non c’è?

Contributi all’articolo

  1. Ordinanza Cassazione su Ricorso UAAR
  2. https://www.agoravox.it/Viviamo-bene-senza-Dio-E-possiamo.html
  3. http://bruschi.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/11/30/veronesi-esistenza-dio-cancro/
  4. https://www.youtube.com/watch?v=Ut4lWzs4KII
  5. https://www.youtube.com/watch?v=X92PIVktdqY
  6. https://it.wikipedia.org/wiki/Bianco,_rosso_e_Verdone


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Quaderni Utopici è un Blog creato da me medesimo me stesso, io e solo io che scrivo, fotografo, canto e ballo alla meno peggio senza pretese o aspirazioni. Una Utopia inizialmente messa su carta e poi on line digitalizzata. 

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